La scorsa settimana Guido M. Poggia ci ha introdotti al Sake (articolo a questo link), oggi continuiamo con le sue classificazioni.
In base a quanta parte esterna del chicco di riso viene tolta nella produzione (più se ne toglie più il risultato sarà raffinato e anche costoso), il sake sarà definito in modo diverso.
Il gradino base della piramide del sake è futsū-shu (普通酒), ossia il sake da tavola, in pratica il 75% del mercato. È il sake industriale, di norma tagliato con alcool per ragioni economiche, e spesso addizionato di zuccheri e altri aromatizzanti per modificarne il sapore. Non richiede un indice di seimaibuai.
I livelli superiori al futsū-shu vengono detti “sake a designazione speciale” o Tokutei Meishō (特定名称):
- Honjōzō (本醸造): richiede un indice minimo di seimaibuai del 70%, in produzione viene aggiunta una piccola quantità di alcol, in modo da estrarre meglio gli aromi.
- Junmai (純米): non ha un indice minimo di levigatura del chicco, ma in genere si attesta sul 70%. Junmai significa “puro riso” e identifica un sake in cui tutto l’alcol proviene dalla fermentazione, senza ulteriori aggiunte. Questo termine può comparire in etichetta anche accanto ad altre categorie come ginjō e daiginjō.
- Ginjō (吟醸): la percentuale di seimaibuai minima è del 60%, è la tipologia la base delle categorie premium. Questi sake sono di norma più leggeri in corpo e più delicati in sapore. Serviti freddi (ma mai ghiacciati) sono in genere distinti da un bouquet aromatico fruttato e floreale.
- Daiginjō (大吟醸): “evoluzione” della categoria precedente, con una levigatura del chicco al 50%. Questa tipologia è la più fine e delicata tra quelle elencate.