Tutto questo il buon D’Addezio ce lo raccontava mentre mescolava un Mojito nel suo bicchierone. Vi chiederete, Mojito? Perché no, si può fare anche con il gin. Ma torniamo alla storia. Chi sa di navigazione, prosegue Massimo, sa anche che la poppa della nave era spesso chiamata il giardino. Questo perché nelle lunghe navigazioni vi si faceva un piccolo orticello, che serviva proprio a coltivare piccoli agrumi come il lime (fondamentali per combattere lo scorbuto), aromatiche disinfettanti come la menta e poi c’era lo zucchero di canna che si riportava dalle colonie… unisci tutti questi ingredienti e il Mojito è fatto. Con il rum per la ciurma e il gin per la truppa.
La cosa divertente è che il buon Massimo non ha preparato il suo Mojito Criollo (creolo) schiacciando il lime nel bicchiere con chili di granuloso zucchero di canna come fanno nelle peggiori discoteche. Ha messo elegantemente il suo drink a infondere con il ghiaccio (pieno, mi raccomando) come se fosse un punch: succo di lime, sciroppo di zucchero (ovvero zucchero di canna e acqua), menta e gin. Tutto quello che si trovava su una nave del Diciottesimo secolo con destinazione Caraibi.
Inutile dire che era un drink ottimo. Quello che è utile aggiungere è che il buon Massimo D’Addezio ha fatto questa lezione di storia in occasione della presentazione della sua Accademia Chorus, dedicata ai ragazzi che nella vita vogliono lavorare in un bar di livello. Una scuola per creare i nuovi professionisti del bere miscelato, che sappiano non solo fare un cocktail, ma anche come si risponde correttamente a un cliente, come si gestiscono il bar e la sala, perfino come si mette la lavastoviglie e si rassetta prima di andar via. Cose che appaiono scontate, ma che non lo sono affatto.