Si è recentemente tornato a parlare di un argomento piuttosto controverso: è possibile pasteggiare con un cocktail o è solo una bestialità d’oltreoceano? Noi italiani abbiamo imparato ad accettare e ad adeguare ai nostri palati le novità che dal mondo anglosassone influenzano il mondo del bar, ma quando si parla di tavola diveniamo molto più intransigenti. Per noi, con un piatto di pasta l’unico abbinamento possibile è un bicchiere di vino o al massimo concediamo qualche licenza alla birra. Ma vediamo se oltre alle nostre barriere culturali c’è anche qualche motivazione tecnica per cui questa pratica dovrebbe essere bandita o, viceversa, andrebbe approfondita.
Innanzitutto, quando parliamo di abbinamento cibo-vino, dobbiamo ricordare che le due scuole, quella francese e quella italiana, hanno fatto dottrina in tutto il mondo, seppure in maniera differente. Il principio che da decenni andiamo perfezionando è quello dell’analisi delle caratteristiche del cibo e di quelle del vino. Alcuni parametri vanno abbinati per concordanza, cioè la struttura del piatto e del vino devono essere più o meno essere simili. Ad esempio si consiglia di servire un dolce con un vino che abbia residuo zuccherino (appunto “Da dessert”). Altri parametri invece seguono il principio di discordanza, ovvero un cibo come il manzo alla brace, che inonda il cavo orale con la sua eccezionale succulenza, necessita di un vino ricco di tannini che, al contrario, lo asciuga (il tannino si lega alla mucina, proteina presente nella saliva e la fa precipitare causando la famosa astringenza del vino rosso). Differente caso è quello del piatto molto grasso che ha bisogno di un vino sapido, in grado di far salivare a sufficienza.