Tutte queste cose, unite al packaging e a mosse di marketing ben congeniate, contribuiscono a creare l’immaGINe del gin. Ed è proprio l’immagine che il brand riesce a dare di sé che spingerà i consumatori a ricordarselo e a sceglierlo.
Sicuramente uno dei gin che ha lavorato meglio sulla costruzione della propria immagine è Gin Mare. Una serie di iniziative pubblicitarie azzeccate hanno reso noto il brand spagnolo, che è riuscito a imprimere nella memoria dei consumatori il packaging delle proprie bottiglie. Fra le varie iniziative ricordiamo che Gin Mare ha addirittura aperto a Ibiza un centro di riabilitazione per disintossicarsi dalle tecnologie moderne.
Trai colossi non può lasciare indifferente Hendrick’s Gin. Un’immagine sempre riconoscibile, unica, che unisce uno stile grafico che ricorda l’epoca della Rivoluzione Industriale e delle prime Esposizioni Universali a tocchi di estrema modernità; una presenza imponente sul web e sui social media, con continue iniziative interattive che coinvolgono il pubblico in maniera immersiva.
Gli esempi sono tanti. E non riguardano soltanto l’immagine pubblicitaria in generale. Ormai anche il produttore più piccolo e artigianale si fa in quattro per creare una bottiglia unica, riconoscibile al primo sguardo, sorprendente, evocativa eccetera. Da Broker’s Gin con la bombetta sul tappo al costosissimo Watenshi Gin con la bottiglia ingioiellata. Dal Daffy’s Gin con l’etichetta disegnata da Robert McGinnis (l’autore dei poster di Barbarella, per intenderci) al richiamo ai lati oscuri della storia del gin con Bathtub Gin. Dal nero Bulldog Gin con tanto di collarino borchiato alla leziosa boccetta di profumo di Givinity. E per competere anche i più piccoli creano etichette scritte a mano, design ricercati e cazziemazzi pur di far parlare di sé.
Avete altri esempi? Commentate!
God Save the Gin!