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Gin Rivo VS Engine Gin: liscio, nel G&T e nel Martini

Paolo Topa
March 16, 2020

Il nostro Giner Paolo Topa ci propone un confronto particolare tra due gin italiani, Rivo ed Engine: scopriamo le differenze lisci e miscelati

I Gin erbacei rappresentano da sempre una categoria a parte nel variegato mondo dei distillati a base di ginepro, una nicchia talvolta un po’ nascosta nel variegato panorama internazionale dei Gin. In Italia esistono splendide produzioni artigianali catalogabili in questa categoria e in questo articolo abbiamo voluto metterne a confronto due particolarmente brillanti: il veterano Rivo Gin, originario del Lago di Como e il nuovissimo Engine Gin, prodotto invece nelle langhe piemontesi.

Due gin italiani dalle note erbacee a confronto

Rivo Gin è strettamente legato al territorio che lo anima, il Lago di Como. Nell’etichetta orgogliosamente viene definito “Foraged Gin”, e ciò significa che le botaniche che lo caratterizzano sono “raccolte e selezionate a mano” nei prati circostanti il lago. Non è dato sapere il numero preciso di queste, ma sono presenti senz’altro la santoreggia, il timo, la melissa, il cardamomo e ovviamente il ginepro. La gradazione di questo Gin è medio-bassa (43%) mentre le bottiglie sono da 500 ml, particolarmente panciute e aggraziate, con un’etichetta che ricorda il mondo esoterico, quindi la raccolta di erbe “misteriose” dalle proprietà medicamentose.

Foto: Paolo Topa

NEAT DRINK: l’impatto aromatico è nettamente vegetale. Il ginepro è ben avvertibile così come le erbe fresche, qualcuna particolarmente aromatica. L’assaggio rimanda al retronasale sensazioni fruttate e floreali, quasi di campo. Sapori secchi e dolci: si tratta di un assaggio molto complesso, con una persistenza particolarmente prolungata nel sorso. Il mix delle botaniche è molto intricato e amalgamato, tanto che risulta difficile stabilire con sicurezza la presenza delle singole componenti.

GIN TONIC: Con aggiunta di acqua tonica nelle consuete proporzioni (e un’aggiunta di una piccola scorza di arancia dolce) ci troviamo di fronte a un long drink dolce che assorbe benissimo l’essenza del suo garnish. La prevalenza delle erbe fresche è innegabile ma, confermando in questo caso la bevuta liscia, anche in questo caso la matassa del mix delle botaniche non si dipana facilmente: forse si nota il finocchietto, forse la maggiorana… ma in fondo che importa? Il sorso è più che soddisfacente, molto intenso e rinfrescante con una spiccata personalità che si distende efficacemente lungo tutto il corso della bevuta.

DRY MARTINI: Il matrimonio con il vermouth vede due sposi in perfetto equilibrio, l’uno ben calibrato sull’altro. L’oliva è perfetta come garnish, molto più che la scorza di limone. La complessità di Rivo Gin è un punto a favore per il Martini, visto che è possibile coglierne ogni sfumatura, ovviamente con la giusta attenzione. Al naso l’ampiezza delle percezioni è notevole, fine e di una intensità complessiva di alto profilo. Super consigliato.

Foto: Paolo Topa

EnGine Gin è balzato agli oneri della cronaca in maniera prepotente, forte di una distribuzione capillare e di un marketing efficace e distintivo. L’immagine di questo Gin è molto forte, a partire dal suo confezionamento in latte da mezzo litro del tutto simili (ma solo nell’apparenza) a quelle che negli anni ’80 contenevano gli oli motori per le automobili. La gradazione è bassa (42%), mentre le cinque botaniche utilizzate (bacche di ginepro, salvia ligure, limone amalfitano, liquirizia e rosa damascena) sono rigorosamente biologiche. Tecnica di produzione? Compound, nonostante questo Gin si presenti trasparente all’esame visivo.

Foto: Paolo Topa

NEAT DRINK: La degustazione liscia mette in immediata (e prepotente) evidenza l’aroma della salvia. In seconda battuta si percepisce il profumo di limone, ma solo con una certa attenzione. Una volta sorseggiato sale una discreta piccantezza che scompare gradualmente, cosa piuttosto curiosa visto che teoricamente non sono presenti botaniche in grado di fornire questa sensazione. Il dolce della liquirizia sale incisivo nel finale, fornendo un’ottima e convincente alternanza di sapori rispetto alle sensazioni dry iniziali.

GIN TONIC: Misceliamo con una tonica neutra nelle proporzioni 1:2, lasciamo arrivare il drink alla giusta temperatura e “ascoltiamo” con attenzione il nostro bicchiere: in questo caso è piuttosto semplice scomporre tutte le sensazioni aromatiche. Si percepisce nettamente la salvia (ancora incisiva), ma sono riconoscibili senza alcuno sforzo anche la liquirizia e il limone. Le percezioni erbacee sono ben presenti, ma meno elaborate e complesse rispetto a quanto riesce a fare Rivo Gin. In compenso, la finezza aromatica è nettamente superiore.

DRY MARTINI: Che dite proviamo? L’idea non è per niente malvagia, anche perché i Gin erbacei si prestano particolarmente bene con questo cocktail. EnGine Gin se la cava alla grande, mettendo per la verità un po’ nell’angolo persino il nostro vermouth “extra dry” preferito. Il Martini è meno secco del solito, profumatissimo e carico di personalità con la nota di salvia sempre a farla da padrone. Consigliato per chi vuole stemperare la prepotenza di questo cocktail, dandogli un tocco di classe.

Foto: Paolo Topa

In conclusione possiamo dire che questi due Gin si rivolgono a un pubblico molto diverso: Rivo Gin è più indicato per un bevitore consapevole ed esperto, forse anche più esigente e attento al dettaglio, ma la forte personalità di questo prodotto potrebbe essere mal interpretata e bollata come eccesso di “seriosità” da parte di qualcuno. Sarebbe un errore.
Al contrario EnGine Gin è un prodotto più “smart”, di immediata fruibilità e apprezzabile da un pubblico più vasto. La qualità delle sue botaniche è innegabile, così come una certa ecletticità nel suo impiego nel bartending moderno. Il suo bonus? La certificazione bio (e da filiera controllata) di tutti i suoi ingredienti.

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