«Ma il pianoforte dov’è?» di Paul Desmond
È l’alba. Una station wagon si ferma davanti alla reception di uno sconosciuto motel nel new jersey. entrano tre uomini: il pallido, l’arcigno, il silenzioso (perché è così che si chiamano).
La perfetta scena d’apertura – prima dei titoli di testa – per qualche loschissimo film su una rapina in banca?
Sbagliato.
Si tratta del quartetto di Dave Brubeck, qualche anno fa, all’inizio di una giornata di lavoro. Abbiamo un contratto (un’offerta che avremmo fatto meglio a rifiutare) per due concerti alla fiera statale di Middleton, nella Orange County e Brubeck è uno che ama arrivare in orario.
Così, verso mezzogiorno, ci mettiamo sulle tracce di un camion che trasporta fieno per poi, finalmente, riuscire a scovare il tizio che ha firmato il contratto.
Corpulento, paonazzo, brusco e infastidito (proprio come i nomi dei soci di uno studio legale del New Jersey) e, con ogni evidenza, più abile nel valutare il bestiame che nell’organizzare concerti di jazz, il tizio ficca il capo nel finestrino della station wagon, nella quale sono stipati quattro musicisti, un contrabbasso, una batteria e carabattole assortite.
E, per la prima e unica volta in diciassette anni di vagabondaggi attorno al mondo, ci sentiamo porre la fatidica domanda: «ma il pianoforte dov’è?»