E grazie a questa sperimentazione avete iniziato a creare gin, come è nata l’idea?
Nella distilleria dell’Alpe venivano prodotti liquori e amari, in particolare quello tipico montanaro dal nome Kapriol, dalla cui ricetta abbiamo sviluppato il nostro primo gin chiamato, appunto, Kapriol Dry Gin. In realtà però già prima di Kapriol Gin avevamo l’idea di creare Aqva Lvce Gin, ma ci è voluto moltissimo tempo, ben quattro anni, per mettere a punto la sua ricetta e il packaging. La nostra sfida era quella di creare un gin che fosse ottimo e diverso da Kapriol, volevamo fare un salto in avanti e far sentire davvero bene a tutti la qualità del prodotto. La presentazione ufficiale è stata a inizio settembre 2017 e ora cominciamo la distribuzione.
E alla fine come siete arrivati allo sviluppo definitivo di Aqva Lvce Gin?
In parte abbiamo ripreso la ricetta di Kapriol perché volevamo fare in ogni caso un gin secco perché veniamo dal mondo delle grappe e il nostro gusto ci spinge in quella direzione, a creare gin che sia buono anche bevuto da solo. La prima prova che eseguimmo ci piacque tantissimo, ma era un distillato molto speziato e complesso e non rispecchiava l’idea che avevamo, poi si sono succedute molte altre prove prima della finalizzazione della ricetta perché volevamo mettere a punto il dosaggio perfetto delle botaniche. Siamo più che soddisfatti del risultato, però ora vorremmo riuscire a ricreare quella prima prova e magari ampliare ulteriormente la nostra gamma di gin.
In seguito è nata la collaborazione con Luigi, un master distiller rinomato, ed è stato lui, vedendo gli alambicchi degli anni ‘40, a raccontarci la leggenda di Antonio Levarin, detto Toni. Era soldato della Marina durante la Prima Guerra Mondiale ed era addetto alle mine. Disegnava spesso pesci palla che ricordano proprio le mine, come quello che compare sull’etichetta del gin. In un raro momento di pace un soldato britannico gli fa assaggiare per la prima volta il gin e ne fu talmente colpito che alla fine della guerra cominciò a distillare di nascosto. La storia ci è piaciuta molto, anche perché ben si legava con il nostro punto di riferimento, che è il modo di bere all’italiana, in amicizia, per saldare i legami. Volevamo reinterpretare il gin inglese all’italiana e siamo partiti scegliendo ingredienti locali, dell’arco dolomitico.