Le interviste impossibili di The Gin Lady: il Conte Camillo Negroni

The Gin Lady
June 23, 2016

Una chiacchierata semiseria con il conte più famoso del bancone, con cenni storici veri e qualche commento solo immaginato

Un divertissement: intervistare il conte Camillo Negroni, l’uomo che ha dato vita al mitico cocktail da unterzo-unterzo- unterzo, che è rimasto nel cuore di tutti i gin lover. E in fondo anche di quelli che amano un po’ meno il gin e chiedono un Negroni Sbagliato, che sostituisce il gin con lo spumante, per un gusto più morbido e frizzantino.

Cosa ci direbbe, oggi, l’inventore del Negroni?

Il Conte Camillo Negroni in un'immagine d'epoca

Il Conte Camillo Negroni in un’immagine d’epoca

Nome?

Cammillo Luigi Maria Negroni, figlio del Conte Enrico Negroni, da cui ho ereditato il titolo, e di Ada Bishop Savage Landor. Comunque, Conte Camillo può bastare.

Dove e quando è nato?

A Firenze, sulle colline di Fiesole, il 25 Maggio 1868.

Ed è sempre rimasto a Firenze?

No, affatto. Anzi, posso dire che alcuni fra i miei anni migliori li ho vissuti in America, nonostante ci sia andato quasi da esiliato.

In che senso?

Mi ero impelagato con una giovane ragazza che aspettava un figlio da me. Ero un cadetto e non avevo neanche la maggiore età. Un errore di gioventù che mi è costato l’accademia, cosa di cui mi è dispiaciuto ben poco, ma soprattutto l’affetto di mia madre Ada, donna altera e severa, troppo preoccupata della forma e dei pettegolezzi. Alla fine la ragazza è morta di parto, che Dio l’abbia in gloria, e io sono fuggito dalle mie responsabilità imbarcandomi su un transatlantico per il Nuovo Mondo.

Per andare?

In America, ma non in una grande città come facevano tutti. Sono stato attratto dalle grandi praterie, dai cavalli selvaggi da domare in cui un po’ mi riconoscevo, dalla saggezza degli indiani d’America che mi hanno insegnato tanto. Sono stato in Wyoming, in Canada, a condurre intere mandrie fino a mercati lontani. Era una vita semplice, per nulla aristocratica. Avevo bisogno di un mondo meno affettato e preoccupato delle chiacchiere di quello che avevo lasciato in Italia.

Ma poi a New York c’è andato?

Sì, nel 1898, quando avevo esattamente trent’anni. Ero pronto per rientrare in società, ma sempre lontano dal provincialismo di Firenze. Lì ho aperto una scuola di scherma, almeno a qualcosa è servita l’accademia… Poi mi sono divertito a frequentare i bar dei Grand Hotel e le bettole di periferia. Ho bevuto tutto quel che c’era da bere, ho conosciuto grandi barman e frequentato donne bellissime.

Fra cui sua moglie Antonietta Zazworka?

Precisamente. Ho conosciuto Anta a New York, dove l’ho sposata nel 1903. È stata lei che mi ha convinto a tornare in Italia, perché voleva conoscere i luoghi da cui provenivo. Tuttavia siamo andati inizialmente in provincia di Livorno, fra i butteri della Maremma toscana. Di nuovo avevo voglia di ritrovarmi nella campagna, ma in un ambiente più familiare. Solo nove anni dopo sono tornato a Firenze.

Dove ha iniziato a frequentare i caffè e le drogherie della città.

Mi piaceva andare tanto in luoghi per aristocratici, quanto in locali più popolari. Anzi, soprattutto in questi ultimi trovavo una dimensione familiare che meglio mi si attagliava. L’amico Fosco Scarselli è così diventato presto uno quasi di famiglia per me e la Drogheria Casoni il mio confessionale.

È a Fosco che ha dettato la ricetta del suo “solito”.

Essere un cliente fisso vuol dire potersi concedere il lusso di dire semplicemente “il solito”. Un terzo di vermut, un terzo di gin e un terzo di bitter e io mi sentivo in America per un attimo, pur rimanendo in un salotto più privato di quello di casa mia. Poi Fosco ci ha aggiunto una scorza di arancia. Diceva che era per il colore, io gli rispondevo che l’era grullo, ma in realtà piaceva anche a me.

E se le dicessero che 150 anni dopo si beve ancora un cocktail chiamato Negroni?

Direi che tanto neanche in 150 anni riusciranno a bere tanti “Negroni” quanti ne ho mandati giù io! E comunque mi fa piacere se alla fine qualcuno si ricorderà del Conte.

Riusciremo a bere tanti Negroni quanti ne ha bevuti il Conte Camillo Negroni?

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