Ma poi a New York c’è andato?
Sì, nel 1898, quando avevo esattamente trent’anni. Ero pronto per rientrare in società, ma sempre lontano dal provincialismo di Firenze. Lì ho aperto una scuola di scherma, almeno a qualcosa è servita l’accademia… Poi mi sono divertito a frequentare i bar dei Grand Hotel e le bettole di periferia. Ho bevuto tutto quel che c’era da bere, ho conosciuto grandi barman e frequentato donne bellissime.
Fra cui sua moglie Antonietta Zazworka?
Precisamente. Ho conosciuto Anta a New York, dove l’ho sposata nel 1903. È stata lei che mi ha convinto a tornare in Italia, perché voleva conoscere i luoghi da cui provenivo. Tuttavia siamo andati inizialmente in provincia di Livorno, fra i butteri della Maremma toscana. Di nuovo avevo voglia di ritrovarmi nella campagna, ma in un ambiente più familiare. Solo nove anni dopo sono tornato a Firenze.
Dove ha iniziato a frequentare i caffè e le drogherie della città.
Mi piaceva andare tanto in luoghi per aristocratici, quanto in locali più popolari. Anzi, soprattutto in questi ultimi trovavo una dimensione familiare che meglio mi si attagliava. L’amico Fosco Scarselli è così diventato presto uno quasi di famiglia per me e la Drogheria Casoni il mio confessionale.
È a Fosco che ha dettato la ricetta del suo “solito”.
Essere un cliente fisso vuol dire potersi concedere il lusso di dire semplicemente “il solito”. Un terzo di vermut, un terzo di gin e un terzo di bitter e io mi sentivo in America per un attimo, pur rimanendo in un salotto più privato di quello di casa mia. Poi Fosco ci ha aggiunto una scorza di arancia. Diceva che era per il colore, io gli rispondevo che l’era grullo, ma in realtà piaceva anche a me.
E se le dicessero che 150 anni dopo si beve ancora un cocktail chiamato Negroni?
Direi che tanto neanche in 150 anni riusciranno a bere tanti “Negroni” quanti ne ho mandati giù io! E comunque mi fa piacere se alla fine qualcuno si ricorderà del Conte.