Curiosità

Sake 101: La produzione del sake, dal riso alla bottiglia Pt.2

Guido Poggia
August 3, 2023

Continua l'approfondimento di Guido M. Poggia, co-owner The Barrel Way, sulla tipica bevanda giapponese, il Sake

Leggi qui la parte 1

Aggiunta di alcol

Al termine della fermentazione, si può aggiungere alcol al prodotto ancora in vasca, in modo da stabilizzarlo e modificarne l’aspetto organolettico in base allo stile di sake che si vuole ottenere.

L’alcol aggiunto (jozo-arukooru, 造アルコール) è ottenuto dalla distillazione di cereali o melassa ed è mediamente ad una gradazione del 30%.

Nella produzione di junmai-shu (純米酒), questo passaggio è vietato, mentre è normalmente utilizzato nella produzione di tutti gli altri tipi di sake (detti tecnicamente aruten, アル添, termine che però non compare normalmente in etichetta).

 

Pressatura

A fine fermentazione, nella vasca del moromi ci sono due componenti: uno solido detto kasu (粕), sul fondo della vasca, costituito dagli avanzi del riso che non si è dissolto in fermentazione; l’altro liquido, un surnatante che è a tutti gli effetti sake, già bevibile anche se un po’ “grezzo” e torbido.

Il sake viene quindi normalmente sottoposto a pressatura (in modo da “spremere” il kasu).

Tradizionalmente si filtra con un metodo detto fukurozuri (袋吊り), eseguito grazie alla forza di gravità attraverso sacchi di cotone riempiti di “mosto” e appesi, in modo che la parte liquida possa colare attraverso la tela senza che venga applicata una forza meccanica.

In tempi moderni, si è passati alla pressatura meccanica (moromi-shiboriki, 諸味搾り器), prima usando una pressa verticale (fune, 槽) e, al giorno d’oggi, soprattutto a macchinari automatizzati detti assaku-ki (圧搾器).

Filtrazione

Filtrare il sake è una scelta produttiva, non un obbligo: i sake non filtrati vengono detti muroka (無濾過) e generalmente presentano un colore paglierino e dei sentori più decisi e forse un po’ più rustici di quelli filtrati.

La scelta di filtrare o meno non riguarda la qualità ma lo stile del prodotto che si vuole ottenere. Esempio tipico di sake non filtrato è il nigorizake (濁り酒) ossia “sake nuvoloso”, chiamato così per la presenza di particelle di riso in sospensione, tanto da renderlo alla vista quasi lattiginoso.

Esistono diversi tipi di filtrazione:

  • tanso-roka (炭素濾過): fatto tramite carboni attivi (kassei-tan, 活性炭), in modo da stabilizzare il prodotto e rimuovere eventuali difetti organolettici.
  • seimitsu-roka (精密ろ過): microfiltrazione con membrane i cui pori possono escludere particelle fino a 0.2 micrometri. Bloccano i microrganismi indesiderati ma lasciano passare molte delle componenti (dimensionalmente più piccole) che donano gusto ed aroma al sake.
  • gengai-roka (限外ろ過): ultrafiltrazione con membrane a porosità molto inferiore (0.001-0.01μm): vengono rimossi anche proteine ed enzimi. Viene utilizzato soprattutto per i sake non pastorizzati, in modo da ridurre il rischio di attività enzimatiche indesiderate in conservazione.

A filtrazione avvenuta, l’estratto liquido viene generalmente lasciato decantare a basse temperature, processo di sedimentazione detto oribiki (滓引き).

Pastorizzazione

La pastorizzazione (hiire, 火入れ) serve a stabilizzare il prodotto “uccidendo” tramite calore (normalmente 60-65°C) quei microorganismi che potrebbero alterarlo in modo incontrollato ed interrompendo l’attività degli enzimi.

Il processo produttivo del sake prevede in realtà due possibili pastorizzazioni eseguite a tempi diversi. I produttori possono scegliere, in base al proprio stile, se eseguirle entrambe, una soltanto oppure non eseguirle affatto.

Perché allora un produttore dovrebbe scegliere di non pastorizzare? Oltre che stabilizzare, la pastorizzazione tende ad “appiattire” leggermente il prodotto, smorzandone un po’ il carattere per effetto del calore.

A volte inoltre si cercano di ottenere dei processi fermentativi secondari, magari durante un possibile invecchiamento prima che il sake venga imbottigliato, o persino dopo, una volta in bottiglia.

Il sake non pastorizzato, comunemente detto namazake (生酒, ossia “sake crudo”) è ritenuto in genere di maggior qualità rispetto al pastorizzato e più ricco in sapori ed aromi.

Attenzione: non pastorizzando c’è un grosso rischio che si producano anche fermentazioni indesiderate che potrebbero rendere il sake troppo forte e “rustico” anziché elegante come dovrebbe essere.

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