La Menta nella mitologia e nella storia della medicina
La mitologia favoleggiava della ninfa Mintha, figlia del dio dei fiumi Cocito, della quale si era invaghito Plutone e che quindi fu poi rapita dalla gelosa Proserpina e trasformata nell’erba profumata che prese il suo nome. Così la mitologia Greca – e poi quella Romana – vollero onorare la fama di questa pianta, in verità non molto bella nell’aspetto, ma dal profumo ineguagliabile e dalle notevoli virtù medicamentose. Già Plinio infatti ne enumerò tutte le proprietà esaltandone il profumo che eccitava l’animo ed il sapore che stimolava l’appetito. Le pozioni a base di menta venivano usate per guarire l’angina tonsillare, gli sputi sanguigni, il singhiozzo, i vomiti e rischiaravano la gola ai cantanti. Oltre a ciò, secondo Plinio, la menta era anche un ottimo vermifugo. Quell’ultima proprietà venne più tardi confermata dalla scuola medica salernitana: “mentitur mentha si fit depellere lenta ventris lumbricos stomachi vermesque nocivos” e anche dal Mattioli: “…ha in sé la menta un certo che d’amarezza con la quale ammazza ella i vermini”.
Nel XVIII secolo Nicolò Lemery, nel suo Trattato delle droghe semplici, espose una sua interpretazione relativa alle presunte virtù eccitanti e toniche della pianta: “Mentina è dedicata a mente perché questa pianta, fortificando il cervello, risveglia i pensieri o la memoria.”