Pino suona, canta, si diverte e realizzando che poteva guadagnare di più adesso con la sua passione, lascia il lavoro in edilizia – più massacrante – per occuparsi a livello professionistico solo di musica.
Gira a quel punto non solo l’Italia ma tuta l’Europa e il fatto di poter cantare facilmente in tre lingue lo aiuta a farsi conoscere ed apprezzare meglio. Locali come l’Astoria di Milano, Capo Nero nel ponente ligure o i più noti locali di Roma, Torino e Venezia lo portano a soggiorni anche prolungati in città diverse.
Ma Milano resta nel suo cuore, dove ha cominciato e dove ritrova qualche anno dopo un Celentano ormai affermato e che ricordandosi di lui gli fa la “propostina” come i fratelli Celentano usavano fare ad artisti più o meno amici o conoscenti e che dimostravano talento e primi successi: la proposta è quella di entrare nel loro “clan”, nome dato alla casa discografica fondata da Adriano allo scopo inizialmente di garantire i diritti dei musicisti aderenti, riparati all’ala protettrice del grandissimo successo del molleggiato.
In realtà e per quanto l’ispirazione di questo clan fosse coinvolgere amici musicisti e scoprire anche nuovi talenti, ispirandosi in una certa misura al Rat Pack di Frank Sinatra, si cominciava a vociferare intorno ad operazioni poco “cortesi” se non addirittura da citazione in giudizio (noto il caso Don Bucky contro Celentano finito pure in tribunale).
Pino non accetta da subito e con fermezza ma senza polemiche, ringrazia Celentano e ancora molti anni dopo dirà ad amici e conoscenti che non se ne è mai pentito anche se l’adesione al clan avrebbe potuto essere, forse, un trampolino per un più rapido e grandissimo successo.
Dal 1969 ai giorni nostri Pino sembra avere davvero la lava dell’Etna al posto del sangue per quante iniziative prende e per le sue scelte di vita: all’apice del suo successo come musicista professionista, conosce in un locale a Saint Moritz dove si esibisce, quella che diventerà sua moglie e con la quale avrà 3 figli.
Comincia a essere stanco delle tournée che lo portano sempre più all’estero e meno in un Italia che sta già cambiando e che non è più tanto interessata alla grande musica dal vivo. Gli organici si riducono e le occasioni per esibirsi anche, con grande suo rammarico (ma aggiungerei con grande rammarico ancora oggi di tanti validi musicisti che continuano a trovare difficoltà e paradossalmente proprio nel nostro paese detto “culla del bel canto”).
L’estero è più ricettivo e continua a gradire.
La svolta arriva sul finire degli anni ’70 :
Pino decide di fermarsi e di dedicarsi ad alcune attività commerciali (bar, ristoranti, piccoli alberghi). Smette di suonare strumenti “faticosi” come i fiati e passa nel tempo libero ad eventi solo occasionali in cui spesso da solista canta e suona la chitarra o il pianoforte (strumento che avrebbe voluto studiare molto meglio, il che resterà un suo grande rammarico in parte sopito dall’averlo fatto conoscere ai suoi figli).
A parte una breve parentesi di un biennio negli anni ’80 accettando per un texano un lungo ingaggio negli Stati Uniti – dove il più delle volta canta durante magnifiche feste in ville da favola – produce e distribuisce in seguito un disco raccolta dei suoi maggiori successi di repertorio e oggi conduce una vita difficile da pensionato ( i tanti anni da commerciante non sono stati sufficienti a maturare il diritto ad una pensione, cosa vergognosa in un paese che si dice democratico e può ringraziare solo e proprio il minimo – comunque di importo insufficiente – della pensione maturata negli anni in cui è stato musicista professionista).