Si avvicinò a ritmo di musica. “È a doppia distillazione, prodotto con alcol di cereali e acqua di fonte. Prima con alambicco discontinuo e poi…” Altra piroetta…come ballava bene. “…poi rifinito con infusione a freddo!”
Lei era estasiata, cioè lei fingeva benissimo di essere estasiata. “E cosa ci mettono dentro? Cioè come si fa?”
Lui si fermò, camminò verso di lei come un gallo colorato e le disse all’orecchio, scandendo ogni parola una per una alitandole fresca menta nel naso: “le botaniche, cioè gli ingredienti che usano, sono: cannella, chiodi di garofano, frutti rossi, ginepro, pepe rosa, radice di liquirizia e scorza di arancia e limone.” Si allontanò e la guardò negli occhi, nonostante le cataratte c’era ancora il colore intenso di un tempo che s’intuiva e lanciava scintille verdi nell’aria.
“Dopo se vuoi andiamo a farci una passeggiata, c’è un cantiere qui vicino.” Lei glielo disse guardandolo proprio nell’azzurro intenso dei suoi bulbi.
“L’idiota si è scordato rafano, semi di anice e zenzero. Ma passa comunque.” Pensò la signora, che era ben esperta di gin e che considerava il Roby Marton uno dei fiori all’occhiello dell’Italia dei gin. “Non gli chiedo altro perché se mi sbaglia la tonica da abbinare non penso gli farò vedere la collezione di calamite che ho a casa.”
Uscirono dalla balera quel pomeriggio di tre mesi prima vicini, con le mani che si sfioravano. Più che il ballo di lui a far nascere la loro storia fu l’amore per questo gin.