Alexander fu uno dei primi ad aprire una distilleria di qualità a Londra. Costrinse il figlio Charles a svolgere sette anni di apprendistato prima di cedergli il regno nel 1823. Con l’introduzione della distillazione continua negli anni ‘30 del 1800, cominciò a svilupparsi il dry style londinese, affiancando al classico sapore dolce dell’Old Tom style quello più secco. Dal 1900 l’azienda divenne Tanqueray Gordon & Co, la più grande casa produttrice di gin del mondo.
Le esportazioni crescevano e crescevano. Il gin portava un sapore di casa nelle lontane coltivazioni di tè e nelle piantagioni di caucciù, e aiutava a mandare giù l’acqua tonica, utilizzata come anti-malarico, ma troppo amara per via del chinino.
Il classico London dry gin divenne solo una parte dell’enorme produzione della distilleria, che sperimentava continuamente sapori e miscele innovativi. La crisi arrivò negli anni ‘60 con la diffusione della moda della vodka, che sostituì il gin anche nel Martini cocktail. L’azienda, con una mossa disperata, lanciò la propria Gordon’s vodka, ma oggi il focus è tornato sul gin.
“Gordon’s è il più gin-eproso dei gin”, dice Charlie Downing, Gordon’s global marketing manager, e il suo gusto può risultare pungente come aghi di pino per il palato Americano. Per questo motivo la tendenza degli americani ad aggiungere succhi di frutta al gin è giustificabile e il risultato può essere considerato accettabile. Molto più problematica per gli amnti del gin è invece la scarsa qualità delle acque toniche americane, troppo dolci per sposarsi felicemente col gin britannico.