Tuttavia non mancano i contro: quella del bar è una vita notturna e logorante, difficilmente si arriva a stipendi da supermanager, per arrivare a far carriera bisogna essere anche portati, si lavora con gli alcolici e bisogna sapersi controllare (drink responsibly!). Quest’ultimo motivo mi farebbe dubitare sull’idea di suggerire questo mestiere a un figlio, anche se c’è da dire che il bravo bartender è come il bravo sommelier: assaggia ma non beve.
E quindi? A mio parere i pro sono più dei contro, ma non bisogna prenderla alla leggera. Studiate ragazzi, studiate! Perché secondo me sono due le cose che fanno la differenza in questo mestiere: una è la passione, che ti fa dimenticare tutti i “rischi del mestiere”, l’altra è la conoscenza.
Le persone che secondo me, da padrona di casa di un locale, servono a questa professione sono quelle che sanno (o sono disposte a imparare) cosa c’è in quegli oltre 100 gin in bottigliera, che sanno comunicarlo al cliente, che sanno servire nella maniera più cortese come insegna il manuale del Perfect serve e che, last but not least, sono anche bravi gestori di un bancone.
Questo lavoro non è tutto sorrisi sotto i baffi da hipster alle belle clienti straniere dall’altra parte del bancone. Ah, un ultimo consiglio ai ragazzi giovani: se avete vicino uno come Patrick Pistolesi, con vent’anni di esperienza e qualche premio prestigioso alle spalle, beh, cogliete ogni occasione per carpirne i segreti. Perché quello del bartender è un mestiere da bottega: si impara dietro al bancone, guardando quelli bravi.