Curiosità

Ginposium 2021: il ruolo del ginepro nel gin - quando un gin non è più gin?

Vanessa Piromallo
July 8, 2021

Alcuni esperti di gin parlano di quale sia la linea sottile tra gin e non gin delimitata dal ginepro da un punto di vista d'oltreoceano...

Tra gli interessanti interventi filmati per il Ginposium 2021, che si svolge interamente online tramite video visibili gratuitamente a tutti, ce n’è uno mediato dallo storico dei distillati ed esperto di gin, nonché grande autore, Aaron Knoll dal titolo “Juniper – Upfront and essential?”

In questa chiacchierata viene affrontato lo scottante argomento del ruolo che il ginepro deve avere nel gin e quali sono i limiti oltre i quali non è più corretto parlare di gin, il tutto dal punto di vista dei produttori statunitensi. Ecco i partecipanti alla discussione:

  • Jason Barrett (Black Button Distilling).
  • Melissa e Lee Katrincic (Durham Distillery, USA).
  • Maggie Campbell (Privateer).
  • Stephen Gould – (Golden Moon Distillers).

Aaron Knoll

Aaron cita il Manifesto di James Hayman contro i “fake gin” dove si condanna coloro che producono gin in cui il gusto di ginepro è minimo o addirittura nulla in quanto minano il lavoro degli altri distillatori e confondono i consumatori. Tutto giusto, ciò che è forse più difficile da stabilire è quale sia la linea oltre la quale non è più possibile chiamare un distillato “gin”.

Stephen Gould spiega che le leggi in Europa e negli Stati Uniti sono differenti, ma storicamente il ginepro è predominante nel gin e così deve essere. Ciò non significa che non ci sia spazio per l’innovazione, però se in un distillato il ginepro scompare in favore delle altre botaniche allora non è gin. C’è però un’area in cui le opinioni possono divergere, per esempio Stephen dice che nelle giurie ha provato molti gin che secondo lui avevano troppo giaggiolo e poco ginepro, mentre secondo gli altri distiller non era così. Sono opinioni personali, ma il ginepro deve esserci.

Concorda Maggie Campbell, riconoscendo che esistono distillati assolutamente eccezionali e meravigliosi ma che, nonostante in etichetta scrivano diversamente, non sono gin. Lee Kantric rincara dicendo che soprattutto negli USA vengono prodotti Contemporary Gin, ma è fondamentale rimanere fedeli al gin e alla sua storia, come loro stessi cercano sempre di fare, perché se il ginepro è la quarta o quinta botanica è già difficile poter parlare di gin.

Jason Barrett aggiunge inoltre che ciò è importante dal punto di vista del consumatore, perché se si prepara o ordina un classico cocktail a base gin si aspetta sicuramente determinati sapori. Esistono però prodotti che sono al limite della definizione di gin e non esiste una buona e chiara definizione per questi prodotti in modo da poter dar loro un nome specifico. Speriamo che in futuro vengano ben definiti anche questi distillati.

Aaron aggiunge che il ginepro è fondamentale nel gin e fa parte della sua stessa definizione, però il bello del gin è proprio il fatto che sia definito anche da altri ingredienti e da molti possibili metodi produttivi: ciò lo differenzia dagli altri spiriti. Inoltre la definizione di gin si basa sul “gusto” e il gusto è una cosa soggettiva e non oggettiva.

Durham Distillery, USA

Aaron continua: molti produttori sono preoccupati che, se non facessero gin, il loro prodotto finirebbe in un reparto del negozio di liquori generici dove i consumatori nemmeno vanno a guardare. Esiste una flessibilità per cui i botanical spirits possano avere una loro categoria oltre al gin?

La questione è davvero problematica, concordano sia Jason sia Maggie, e quest’ultima aggiunge che è inoltre vietato pubblicizzare gli alcolici negli USA e quindi è particolarmente difficile per un produttore spiegare un prodotto che non rientra in categorie conosciute al pubblico. Stephen aggiunge che infatti è difficile fare soldi con prodotti molti diversi dal solito e che gli capita spesso di ricevere richieste in distilleria per produrre conto terzi distillati che sono in effetti unici, buonissimi e differenzianti, ma poi non ti permettono di viverci.

Melissa puntualizza che a loro, che producono solo gin, trovandosi negli USA dove la moda del gin non è ancora esplosa come in Europa, molti consigliano di fare “flavored vodka”, ma non vogliono fare qualcosa che non sia nelle loro corde e quindi sperano che il gin cominci a essere apprezzato appieno anche lì.

Il video prosegue con una presentazione individuale dei gin prodotti dai relatori e una cosa interessante è che tutti dicono di utilizzare molto ginepro rispetto agli altri American Gin, ma forse non verrebbero considerati così “juniper forward” dagli inglesi. Risulta quindi chiaro come la percezione del gusto possa variare tra le persone. Ognuno descrive le botaniche utilizzate e Aaron specifica che si tratta di un modo contemporaneo di parlare di gin, ma il fatto che vengano raccontate così tante botaniche non significa affatto che ci siamo dimenticati del ginepro.

Black Button Distilling, USA

Aaron pone poi una domanda molto importante: secondo il Manifesto di Hayman l’innovazione può portare i consumatori fuori strada; negli ultimi dieci anni abbiamo inoltre visto i produttori cercare di autoregolarsi con definizioni proprie come “contemporary gin”, new American gin”, “International Gin” etc. e quindi il gin è diventato una categoria più ampia? E come è percepito dal consumatore?

Melissa racconta che prima della pandemia le persone erano sempre più interessate e volevano conoscere e informarsi di più sul gin, in tanti visitavano la loro tasting room, ma adesso le sembra che sia tutto in pausa e spera che prima o poi questo fermento ricominci. Ciò è un problema perché negli USA è più facile trovare gin europei che americani e quindi la gente è più abituata a quei sapori, perciò i produttori locali devono lavorare molto per far cambiare le prospettive e far conoscere i loro gin. Aggiunge inoltre che crede che il gin come categoria più ampia abbia grande potenziale in America, ma è fondamentale che vengano educati non solo i consumatori, ma anche i distributori, o bartender e gli altri addetti al settore, in quanto negli scaffali dei bar e dei negozi viene ancora dato maggiore spazio agli altri distillati piuttosto che al gin.

Per quel che riguarda il gin come categoria più ampia, anche Stephen racconta di ciò che avviene nella sua tasting room aperta al pubblico: in molti capitano da lui e dicono “ma a me il gin non piace” e lui risponde “penso che in realtà non ti sia piaciuto l’unico gin che tu abbia assaggiato, perché il gin non è un distillato, è una grande famiglia di distillati. L’unica cosa in comune? Il ginepro! Ma quando si va oltre alla “gineprocentricità” si possono fare un sacco di cose diverse. Racconta che fa anche lezioni sui cocktail e ai partecipanti fa fare lo stesso cocktail classico con tre gin diversi e chiede a ognuno quale pensa sia quello col profilo aromatico migliore per quel cocktail, perché basta cambiare quell’unico ingrediente che il drink si trasforma completamente. Secondo lui il problema è quando si va troppo oltre come certi bar in Spagna e in Uk che hanno oltre 500 gin e la gente prova quelli che non ha mai provato facendo vacillare la fedeltà al brand. Sta dunque ai produttori farsi carico della sfida di insegnare ai consumatori che il gin ha tante sfumature e insegnare loro cosa è gin e cosa no.

Golden Moon Distillery, USA

Maggie dice che vede e apprezza l’innovazione, ma preferirebbe che i produttori non venissero penalizzati se non brandizzano i loro prodotti come gin. Precisa che comunque esistono tantissimi gin contemporanei fedeli a quelle che pensa sia la natura del gin, soprattutto per la miscelazione. Jason aggiunge che anche il mondo dei Ready To Drink sta spingendo molto verso l’innovazione ed è un settore in grandissima crescita: racconta che anche nella sua distilleria vengono molti visitatori che dicono di non amare il gin, ma poi nei bar ordinano cocktail con il gin e nemmeno lo sanno ed è per questo che gli RTDs possono essere catalizzatori importanti.

 

In tutto questo qual è la conclusione? Come dice Aaron Knoll: “esiste una definizione di gin e questa definizione lascia spazio all’innovazione e questo è un fatto.”

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