Storia e Distillazione

Sake: come viene classificato?

Guido Poggia
May 18, 2023

Il secondo appuntamento di approfondimento sul sake con il nostro esperto Guido M. Poggia, co-owner The Barrel Way

La scorsa settimana Guido M. Poggia ci ha introdotti al Sake (articolo a questo link), oggi continuiamo con le sue classificazioni.

In base a quanta parte esterna del chicco di riso viene tolta nella produzione (più se ne toglie più il risultato sarà raffinato e anche costoso), il sake sarà definito in modo diverso.

Il gradino base della piramide del sake è futsū-shu (普通酒), ossia il sake da tavola, in pratica il 75% del mercato. È il sake industriale, di norma tagliato con alcool per ragioni economiche, e spesso addizionato di zuccheri e altri aromatizzanti per modificarne il sapore. Non richiede un indice di seimaibuai.

I livelli superiori al futsū-shu vengono detti “sake a designazione speciale” o Tokutei Meishō (特定名称): 

  • Honjōzō (本醸造): richiede un indice minimo di seimaibuai del 70%, in produzione viene aggiunta una piccola quantità di alcol, in modo da estrarre meglio gli aromi.
  • Junmai (純米): non ha un indice minimo di levigatura del chicco, ma in genere si attesta sul 70%. Junmai significa “puro riso” e identifica un sake in cui tutto l’alcol proviene dalla fermentazione, senza ulteriori aggiunte. Questo termine può comparire in etichetta anche accanto ad altre categorie come ginjō e daiginjō.
  • Ginjō (吟醸): la percentuale di seimaibuai minima è del 60%, è la tipologia la base delle categorie premium. Questi sake sono di norma più leggeri in corpo e più delicati in sapore. Serviti freddi (ma mai ghiacciati) sono in genere distinti da un bouquet aromatico fruttato e floreale.
  • Daiginjō (大吟醸): “evoluzione” della categoria precedente, con una levigatura del chicco al 50%. Questa tipologia è la più fine e delicata tra quelle elencate.

Ognuno di questi sakepremium” può guadagnarsi la definizione aggiuntiva di tokubetsu (特別) ossia “speciale”, per indicare l’utilizzo di una particolare tipologia superiore di riso, oppure di un indice di seimaibuai superiore alla norma per la categoria in questione.

La classificazione è questa, ma i tipi di sake possono essere ben più numerosi, in base a come il prodotto viene ottenuto e alle scelte produttive. Qualche spoiler?

Pressatura, filtrazione, aggiunta di alcol, pastorizzazione, invecchiamento in botte, diluizione… sono tutti esempi di passaggi più o meno obbligati e che contribuiscono ognuno a proprio modo a dare un prodotto differente in bottiglia, e che quindi rientrerà in una propria tipologia. 

Così, se normalmente il sake viene filtrato, esistono anche i nigorizake, non filtrati e quindi “nebulosi” per la presenza di particelle di riso in sospensione.

Se di norma si pastorizza, si possono avere anche dei sake crudi, namazake.

Se normalmente non si invecchia, i genshu riposano invece in botte per qualche tempo,

Ogni scelta produttiva porta ad un differente prodotto finale. 

Per capire meglio questo discorso però, bisognerebbe sapere come si produce il sake… e questa è un’altra storia che vedremo assieme la prossima volta.

Kanpai!

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