Storia e Distillazione

Storia del Gin 6: La contemporanea Gin Craze

Vanessa Piromallo
September 14, 2022

Quali sono i fattori per cui il gin è diventato un distillato così importante negli ultimi 10 anni? E cosa ha comportato questa nuova moda del gin?

Dagli anni ‘40 in poi il gin ha subito una costante diminuzione della sua popolarità sia negli Stati Uniti sia in Europa. La Seconda Guerra Mondiale ha rappresentato anche un ulteriore problema, con molte distillerie, come quella di Gordon’s, distrutte dai bombardamenti. In Italia tra gli anni ‘80 e ‘90 tutti i produttori che facevano anche gin dismettono le produzioni e in circolazione rimangono pochi marchi di quelli molto famosi e poco costosi. Nel nostro paese gli anni ‘90 e i primi 2000 sono stati contrassegnati proprio da un’attenzione media alla qualità degli alcolici abbastanza bassa e di conseguenza per moltissimi il gin era qualcosa di poco buono, poco costoso, servito a tinozze allungato con un po’ di limonata o di acqua tonica. Per arrivare alla qualità e alla premiumizzazione del settore dobbiamo arrivare all’inizio del primo decennio del 200 fino ad oggi. A contribuire a questa moderna rinascita del gin sono entrati in gioco diversi fattori. Vediamo ora i principali, legati in gran parte alle strategie di marketing.

Il primo passo avviene nel 1987 con il lancio di Bombay Sapphire London Dry Gin: packaging attento e moderno e una comunicazione anche sulla bottiglia che cerca di spiegare come sia fatto il gin, presentandone le botaniche e il metodo di distillazione all’epoca unico, tramite infusione a vapore modificando appositamente un alambicco Carter-Head. Anche la ricetta è più “piaciona” rispetto ai classici London Dry, con un gusto più delicato e virato verso i sentori degli agrumi anziché su quelli del ginepro. Grazie a Bombay Sapphire e al lavoro di alcuni bartender che ci hanno visto lungo, si comincia a capire che il gin poteva essere reinventato e che gli ingredienti a disposizione del distillatore sono centinaia e non solo i più comuni, così come le tecniche per lavorare questi ingredienti senza uscire da quella che è sempre stata la vaga definizione di “gin”.

Ed è a questo punto che in mezzo ai grandi player come Bombay Sapphire, Tanqueray e Gordon’s si inserisce un nuovo prodotto che per primo ha colto quanto appena detto: lo scozzese Hendrick’s Gin, lanciato negli USA nel 2000 e nel Regno Unito nel 2003. Per la prima volta un gin utilizza con orgoglio metodi di produzione diversi da quelli del London Dry e crea attorno a sé un brand altamente riconoscibile e basato sull’utilizzo di due ingredienti insoliti, il cetriolo e la rosa. Hendrick’s con il suo successo ha così “dato il permesso” a tutti gli altri produttori di reinventare il gin e sperimentare, fattore portante della moderna Gin Craze. Inoltre, per la prima volta grazie ad Hendrick’s, emergono consumatori disposti a pagare di più per un gin, aprendo la strada alla premiumizzazione del gin.

L’altro fattore fondamentale che molta letteratura sulla storia del gin sottovaluta è il cosiddetto Spanish Serve del Gin Tonic. Michael Cruickshank pensò di aprire il suo Xix Bar (da tempo fra i più in voga a Barcellona) nel 2004: tutti gli chiedevano perché mai volesse aprire un bar specializzato in Gin Tonic visto che non andavano affatto di moda. Il boom dei gin tonic serviti alla spagnola, infatti, esplose solamente nel 2007/2008 e lui fu tra i primi a cercare di vendere il G&T alla gente. L’idea per il suo bar, entrato in funzione nel 2005, era quella di far cambiare la percezione comune di quello che era questo drink provando a servirlo in un modo del tutto innovativo; lo stesso stava facendo il Pesca Salada dal 2003. All’epoca la varietà offerta di gin era composta da 10 brand, nulla al confronto delle centinaia  a disposizione ora, ma tanto per quei primi anni del XXII secolo. Servizio in balloon, garnish studiati, abbinamenti con toniche specifiche, ghiaccio da 50g e aromatizzazione homemade dei gin furono le novità che cambiarono per sempre la percezione prima mediamente negativa che i consumatori avevano del Gin Tonic, perché così era diventato un vero e proprio cocktail. I risultati ottenuti da questo nuovo modo di pensare il gin tonic sono fondamentali: è diventato “glamourous”, “attractive”, “fashionable” e quindi i clienti sono stati disposti a spendere di più, a provare nuovi prodotti e ad ampliare le proprie aspettative. Gli è stato donato un nuovo prestigio, eleganza e stile, impatto visivo. La moda del gin tonic ha poi aperto le porte al boom dei cocktail perché i clienti hanno cominciato ad avere una certa conoscenza del gin e hanno cominciato a volere cocktail a base di gin, serviti con determinati criteri. In tanti criticano adesso i balloon, ma in realtà si tratta di recipienti molto adatti al Gin Tonic grazie alla loro forma e capienza, e senza di essi il gin probabilmente ora non avrebbe un tale successo nel mondo.

E così, man mano in tutto il mondo, i produttori di gin si sono moltiplicati esponenzialmente. Basti pensare che in Italia siamo passati da una produzione nulla a inizio 2000 a centinaia e centinaia di brand (un migliaio contando anche le produzioni più piccole e limitate). E il gin ha cominciato a essere prodotto ovunque, anche in Asia, Africa e America Latina, conquistando sempre maggiori fette di mercato anche dove questa moda ha impiegato più tempo a prendere piede, come per esempio negli Stati Uniti.

Il governo inglese capì immediatamente il potenziale di questo business e nel 2015 iniziò a incentivare l’apertura di distillerie di gin in UK con l’obiettivo di rendere l’esportazione di quest’ultimo ancora più profittevole di quella del whisky. Il vantaggio del gin è che è più “facile” da fare rispetto ad altri distillati e, non dovendo essere invecchiato, permette un più immediato ritorno dell’investimento rispetto al whisky che deve rimanere in botte per anni prima di poter essere commercializzato. Non è infatti un caso se le distillerie inglesi sono aumentate esponenzialmente di anno in anno arrivando a oltre 560 nel 2020. Anche in Italia dapprima i produttori già esistenti hanno cominciato a fare anche gin e poi di anno in anno nuove distillerie di gin sono state aperte, di cui la prima è Peter in Florence, entrata in funzione a Firenze nel 2017.

I fattori che distinguono la contemporanea Gin Craze da quella del passato sono moltissimi. Innanzitutto si tratta di un fenomeno globale. Poi si caratterizza per un’estrema cura del branding, del packaging e del marketing dei prodotti, con investimenti considerevoli in ognuno di questi aspetti da parte dei grandi player ma anche di molti piccoli produttori. Ma l’aspetto forse più interessante è proprio lo spirito di innovazione e ricerca che ha dato vita a centinaia di migliaia di gusti differenti, utilizzando botaniche di ogni tipo, in certi casi anche di origine animale, e diversi metodi di produzione, talvolta inventandone di nuovi. Questo fermento è meraviglioso, ma ha anche creato una grande difficoltà nello stabilire quali siano i limiti della categoria e cosa possa essere chiamato gin e cosa no.

La moderna Gin Craze ha indubbiamente rivoluzionato il mondo del bar e l’approccio dei consumatori verso gli alcolici. Anche il più piccolo bar di paese oggi offre prodotti premium e in tutti i bar si trovano sempre più spesso carte dei cocktail estremamente curate. Gli spazi dedicati al gin in negozi e supermercati sono sempre più ampi e, nonostante i cattivi pronostici di alcuni, la crescita del mercato del gin non sta minimamente accennando a fermarsi.

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