Off the records: i racconti di Mauro Lotti

The Gin Lady
May 17, 2018

Mauro Lotti e i suoi aneddoti gustosi dai tempi che furono, quando Maugham dettava come fare il Martini e Agnelli dormiva al Grand Hotel sul letto di Napoleone

Capita di avere fortuna. E ieri è stata una giornata più fortunata delle altre, perché bisogna riconoscere che se un mostro sacro come Mauro Lotti è a Roma, in hotel da te all’Adriano, ha tempo ed è in vena di racconti della sua storia dietro a un bancone, non può che definirsi una giornata fortunata.

Per i pochi che non lo sapessero, Mauro Lotti si può definire il Gualtiero Marchesi dei barman. Oggi rappresenta Martini in giro per il mondo, dopo che nella sua vita ha servito numerosi Martini cocktail (e non solo) a tutti i più noti nomi della letteratura, dell’imprenditoria e del jet set internazionale. Fra le sue convinzioni, maturate in sessant’anni di carriera, quella che il bar è “un luogo di ricreazione per adulti, dove si va per non sentirsi soli”. E poi che ci si può inventare qualsiasi miscuglio, ma “alla fine sono una decina i cocktail che vengono chiesti da sessant’anni e più ed evidentemente sono quelli i migliori” (Martini in primis, ovviamente).

“Scrittori come Pasolini, Moravia, Goffredo Parise venivano a bere da me, sperando di trovare qualcuno che pagasse per loro”

Lotti era reduce da una tre giorni al Salone del Libro di Torino, durante la quale ha avuto il compito di raccontare le sue storie di letteratura al bancone. Un incontro, ci ha detto, è stato dedicato agli anni del Beau Rivage di Losanna, dove ha conosciuto numerosi scrittori, fra cui Somerset Maugham, per esempio, che ispirò al collega Ian Fleming il famoso “shaken not stirred” (agitato, non mescolato), relativo al Martini.

Mauro Lotti e Patrick Pistolesi al Gin Corner di Roma

Di Losanna, Lotti ci ha detto che scelse di andarci perché in quegli anni la cittadina svizzera era all’apice del jet set internazionale. “Era il posto dove i ricchi si andavano a nascondere, perché lì puoi girare con una corona di diamanti – afferma Lotti – e nessuno ti nota nemmeno. Negli anni in cui lavoravo al Beau Rivage, girava indisturbato perfino un noto mafioso, ricercato da tutte le polizie del mondo”. Ma a Losanna evidentemente non aveva bisogno di nascondersi, un po’ perché sono abituati al lusso, ostentato e non, un po’ perché in Svizzera la discrezione è una legge non scritta, ma che vale più di mille parole. “A Losanna ci sono i collegi svizzeri più esclusivi, che in quegli anni erano frequentati dai figli dei potentissimi armatori greci dell’epoca, come gli Onassis. Gente che da cui dipendeva il destino del mondo”. E poi le banche svizzere, le case più esclusive, gli affari decisi magari al bancone del bar dietro al quale il discretissimo Mauro Lotti serviva i suoi indimenticabili Martini…

Un’altra puntata al Salone del Libro (e della chiacchierata che Lotti ha fatto con noi in esclusiva) è stata dedicata agli anni del Grand Hotel a Roma, che per Lotti sono stati ben 34. “Avevo iniziato a raccontare qualche aneddoto, di quando gli scrittori come Pasolini, Moravia, Goffredo Parise venivano a bere da me, sperando di trovare qualcuno che pagasse per loro, ma a un certo punto mi sono accorto da qualche risatina che i presenti non avevano ben chiaro cosa fosse il Grand Hotel all’epoca, così mi sono fermato a descriverlo”. Il Grand Hotel, dice Lotti, è stato costruito come una specie di ambasciata informale, in cui ospitare le delegazioni diplomatiche in visita a Roma, che fra l’altro è capitale di due stati, visto che ospita anche il Vaticano.

Mauro Lotti a una masterclass di Martini

E poi in quegli anni era il posto dove soggiornavano i grandi del mondo, dove si stringevano affari, si consumavano grandi amori e, soprattutto, si andava per farsi vedere. Per stupire i suoi ospiti torinesi, Lotti ci ha detto di aver raccontato loro quello che appare un dettaglio: “avete presente quel Renoir e quel Modigliani che appartenevano all’Avvocato e sono esposti al Lingotto? Ecco, io per motivi di servizio li ho visti quasi tutti i giorni per quindici anni, ovvero gli anni in cui Agnelli ha avuto un appartamento al Grand Hotel. Se l’era fatto arredare secondo i suoi gusti: dalla porta spessa oltre venti centimetri, al letto di Napoleone, all’enorme lampadario, che era talmente pesante che prima di installarlo era stato necessario rinforzare il soffitto”.

Gustosa la storia dei tempi dei primi telefoni portatili. Il Grand Hotel ne aveva acquistato uno e l’aveva messo a disposizione dei suoi ospiti al bar, almeno fin quando non lo sequestrò il Viminale, la cui sede era vicinissima, per via delle interferenze che a quanto pare produceva l’apparecchio. Per Lotti fu un sollievo, dal momento che la gestione di questo telefono competeva a lui, ma si rivelò affare ben più complesso della responsabilità del bancone: “tutti volevano parlare con quel telefono e litigavano fra loro su chi dovesse averne diritto per primo, chiedendomi talvolta perfino di toglierlo a qualcuno mentre stava parlando. Una volta ci fu un battibecco fra due donne bellissime, mie clienti del bar, e piuttosto che prendere le parti dell’una o dell’altra preferii allontanarmi dal bancone. Qualche giorno dopo una delle due tornò e se ne lamentò con me, dicendomi che l’avevo abbandonata, io le risposi confessandole che facevo una gran fatica a gestire anche il traffico telefonico e lei mi abbracciò, perdonandomi”.

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